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Blog @ Noidelvino

Il Vino raccontato da chi lo fa

Casale Falchini – Una vernaccia da cinque grappoli e lode!
Pubblicato dal blog il 01/01/2022
Casale Falchini – Una vernaccia da cinque grappoli e lode!

Ripubblico quest'articolo articolo di Vieri Tommasi Candidi apparso su blablawine.com nel gennaio 2016, ma che racconta anocora una storia attuale.

 

 Come arrivarci – Dall´autostrada Firenze-Siena uscita di Poggibonsi nord, verso San Gimignano.

La terrazza con vista su San Gimignano

In questa frizzante giornata di fine gennaio 2016, ispirati dall’ottima guida di Emanuele & Agnese Pellucci, (“La Vernaccia e gli altri vini di San Gimignano” – Vipsul Edizioni) che vi consigliamo caldamente e dalla quale proponiamo alcuni bei disegni di Pier Luigi Viti, io e Raf ci presentiamo entusiasti all’Azienda Agricola Casale Falchini.
San Gimignano, un po’ più in alto, ci appare come un sogno medievale avvolto spettralmente nella bruma. Spettacolo superbo.
Ci accoglie con grande cordialità uno dei figli del mitico Riccardo FalchiniMichael, che ben presto si rivela non solo un eccellente narratore delle vicende di famiglia ma anche un esperto di storia della famosa cittadina la quale s’intreccia inscindibilmente con quella delle aziende dell’area.

San Gimignano, tra grandi fortune e rovinose cadute

San Gimignano, inizialmente insediamento etrusco, secondo la tradizione deriva il nome dal santo vescovo di Modena che avrebbe difeso il villaggio dall’occupazione di Attila.

Il suo primo grande splendore lo conobbe nel XIII secolo soprattutto grazie alla via Francigena la quale favorì lo sviluppo d’un fiorente commercio il cui prodotto principale era lo zafferano.
Le cose cominciarono a farsi ancora più interessanti quando, invece dello zafferano sfuso, i cittadini presero a vendere stoffe che, intinte nella stessa sostanza, assumevano un colore giallo intenso, brillante – tipico dei vestimenti papali e nobiliari – acquisendo per ciò grande valore. Tuttavia, per asciugare le lunghissime pezze che in tal modo si ottenevano, dovevano per forza appenderle fuori dalle finestre esponendole al contempo a facili furti . Per questa ragione molto pratica nacquero le famose torri (nel periodo di maggior fulgore si arrivò a contarne fino a 72), vuote al centro, che prevedevano solo scale laterali lungo le pareti interne, cosicché le preziose stoffe potessero essere stese per l’intera altezza dell’edificio e insieme protette dai malfattori. Cogli anni poi le torri si alzarono sempre di più e divennero il simbolo della potenza dei signorotti proprietari.

Il Trecento fu un secolo di crisi che non risparmiò San Gimignano. Travagliata dalle lotte intestine, essa fu pesantemente colpita dalla peste nera e dalla carestia del 1348 che decimò la popolazione. Nel 1351 la città, stremata, si consegnò spontaneamente a Firenze (che distrusse tutte le torri di parte senese e spostò anche la via Francigena), rinunciando alla propria autonomia e a un ruolo politico nello scacchiere toscano.
Il declino e la marginalità della città nei secoli successivi furono le condizioni che permisero la straordinaria cristallizzazione del suo aspetto medievale.
Alla fine del XIX secolo si cominciò a riscoprire la particolarità e la bellezza della cittadina, che venne sottoposta integralmente a vincolo monumentale nel 1929.

Nel 1990 è stata dichiarata dell’UNESCO patrimonio culturale dell’Umanità.

Ma è probabilmente dagli anni ‘60 in poi, con la vernaccia che diventa DOC (dal ’93 DOCG), che San Gimignano rinnova i vecchi fasti commerciali del medioevo. E la famiglia Falchini ne è stata senza dubbio uno degli artefici.

Nel 1964 il padre di Michael e Christopher, Riccardo Falchini, proveniente dal settore edile di Prato, aveva ventinove anni, e siccome lavorava sodo da diciassette, era stato capace di mettere da parte un bel gruzzoletto che aveva intenzione d’investire in qualche modo, magari in un’impresa agricola che gli potesse fornire il vino e l’olio per uso domestico.

La cercava quindi nei pressi di Firenze, verso Greve, Panzano, il territorio del Chianti per eccellenza, ma un giorno un suo amico lo portò a San Gimignano  e gli disse: «Guarda un po’ questa azienda qui, a un chilometro dal paese, e ce n’è anche un’altra, della stessa proprietà, dalla parte opposta. Se t’interessa si prendono bene». Riccardo Falchini osservò il vecchio casale rurale dove una famiglia di mezzadri allevava animali, vide che aveva carattere, potenzialità, oltre che una vista impagabile, e se ne innamorò.  insieme al fratello che rilevò l’altra azienda (adesso, scomparso il fratello nell’82, è stata sostituita da un bed&breakfast gestito dai cugini di Michael e Christopher).

Da Chianti a Vernaccia

Nel 1966 i mezzadri dei Falchini, con a capo il fattore, “tiravano avanti” anche la Fattoria di Pietrafitta appartenente al Duca d’Aosta, famiglia Savoia, e proprio Pietrafitta, in quell’anno, ottenne che la vernaccia, in quanto vitigno storico, fosse riconosciuta come DOC.
Così il fattore disse a Riccardo Falchini: «Quest’anno anche noi si fa la vernaccia». E Riccardo Falchini chiese: «Ma qui non si fa solo il Chianti?». E il mezzadro rispose: «No, no, si toglie l’uva bianca dalla rossa e si fa la vernaccia. Quella bianca è vernaccia». E Riccardo Falchini annuì: «Facciamola». Solo allora però iniziò a comprendere che un conto è fare il vino e un altro è costruirlo. Per lui, da profano, già ottenere il bianco dalle uve rosse era una cosa molto strana.

Iniziarono a estirpare i terreni. Tolsero il grano, i frutteti, ma Riccardo Falchini si rese subito conto che la famiglia originaria di contadini, ottimi allevatori di animali, non era adatta all’agricoltura, pertanto gli pagò una buona uscita e affidò le nuove culture a dei mezzadri più esperti.

Nello stesso periodo Riccardo Falchini entrò nel Consiglio della Vernaccia ma il giorno in cui si trattò di fondare il Consorzio della Vernaccia, dal momento che era impegnato su dei cantieri a Prato e Firenze e non poteva spostarsi, delegò per la firma davanti al notaio il fattore, Cecconi Feriero, il quale, per la sua semplice presenza, risulta attualmente un fondatore del consorzio senza essere proprietario.

 

L'incontro con Tachis

Riccardo Falchini e Giacomo Tachis con Pacifico FioravantiUna decina d’anni dopo, nel ’76, Riccardo Falchini conobbe Giacomo Tachis, suocero di Raf – forse il più grande enologo del nostro paese, di sicuro il più famoso, l’uomo del Rinascimento del vino italiano nel mondo – che molto modestamente si autodefiniva un semplice mescola-vini.
Riccardo Falchini fu chiamato alle Cantine Antinori per un grosso lavoro in cemento armato a livello industriale che avrebbe dovuto essere finito al massimo entro un anno senza che si potessero fermare le normali operazioni di vinificazione. Questo non era obiettivamente possibile. Riccardo Falchini glielo spiegò, e Tachis rispose che se lui non lo avrebbe fatto, allora non gli rimaneva che riaccompagnarlo gentilmente alla macchina. Ma mentre camminavano verso la vettura, Tachis s’informò sulle sue attività e quando apprese che produceva vernaccia a San Gimignano gli s’illuminarono gli occhi e gli disse: «M’interessa, vengo a trovarla».

Il “dottore” – come, con un pizzico di sacra venerazione, veniva chiamato Tachis – inizialmente pensava di usare le uve da vernaccia per il galestro, poi però constatò che i terreni erano diversi da quello che si era immaginato e che si trattava di fondo oceanico innalzato in cui era presente una forte componente di argilla calcarea (si possono rinvenire conchiglie e resti fossili in gran quantità) e che quindi, possedendo un’accentuata mineralità, si confaceva ai “vini a tutto pasto”, sia bianchi che rossi.
Così cambiò idea, si concentrò sulla vernaccia, ma quando entrò nel casale a visitare le cantine sotterranee e vide che il vino veniva fermentato in grosse botti di castagno, disse: «Via tutto».
In quell’area, all’epoca, era la regola, e Riccardo Falchini e i suoi mezzadri si stupirono, ma Tachis spiegò loro che il castagno rilascia sostanze che danno amarezza a un vino bianco, che era roba da distilleria, da acetifici, e che per fare una vernaccia decente occorrevano recipienti in acciaio a temperatura controllata. Così i Falchini furono i primi nella zona ad adottare il procedimento a temperatura controllata, e per diciotto anni sono stati anche gli unici.

Amicizia ed esperimenti

Nacque così una bella amicizia tra Riccardo Falchini e Giacomo Tachis, piemontese d’origine, che nella zona usava cercare uve per gli Antinori, ma che al contempo non era molto ben accetto dalla maggioranza dei produttori locali fieri della loro toscanità. Lui gli diceva: «Tenetemi il Sangiovese separato dal Trebbiano perché col primo ci faccio il Chianti e col secondo il Galestro». Però loro non sentivano ragioni e, nonostante sapessero che lui veniva dalla grande scuola di Peynaud, gli rispondevano che non capiva nulla, che il Trebbiano andava fermentato col Sangiovese, e alla fine non gli davano retta. Salvo poi venir smentiti dalla realtà dei fatti ogni volta che i vini derivati dalle “loro” uve mescolate palesavano grossi problemi di colore e di acidità. Non era facile cambiare una mentalità sclerotizzata che risaliva all’ottocento ma, grazie anche a Riccardo Falchini e alla sua “obbedienza” al grande enologo, le cose cominciarono a migliorare.

Nel ’77-’78 però, pur producendo una vernaccia bella pulita, fresca, il Casale Falchini non riusciva comunque a sfondare in Italia .“Troppo moderna” dicevano, “troppo poco tradizionale”. Di contro nei concorsi internazionali veniva apprezzata sempre di più, cominciava a vincere premi e ad affermarsi come vino di un certo livello – tanto che tuttora i Falchini sono gli unici produttori locali che partecipano a tutti i ProWeine – anche considerando che fino ad allora quella tipologia di bianco non aveva vinto niente. L’esportazione quindi tirava il grosso della produzione.

Nel mentre, negli USA, avevano trovato un importatore, la Martini & Rossi di NY, che gli poteva garantire una diffusione locale. Decisero pertanto di adottare un’etichetta bianca con una striscia rossa che celebrasse il connubio con la Martini. Dopo poco la William & Grant, produttrice di whiskey, gli propose una più ampia distribuzione su tutto il territorio nordamericano, e allora fu disegnata un’altra etichetta che si rifaceva al pittore rinascimentale Benozzo Gozzoli. Cosi la Vernaccia di San Gimignano DOCG Benozzo Gozzoli fu il primo vino dei Falchini ad avere un forte impatto sul mercato statunitense. Di lì a poco si aprirono anche i mercati giapponese, canadese, tedesco, e tuttora il 60-70% della loro produzione è destinato all’esportazione.

Cabernet e Chardonnay

In seguito iniziarono a fermentare la vernaccia in barrique, cosa che nella zona nessuno aveva mai fatto, e poi, nell’80, Tachis disse a Riccardo: «Tu devi piantare il Cabernet e lo Chardonnay». Riccardo spalancò gli occhi e rispose: «Non si può, sono vitigni, proibiti. Sono foresti». Non era ancora giunto fino a lì il concetto di “internazionale”. Ma erano stati proprio gli esperimenti di grande successo del “dottore” col Sassicaia a Bolgheri, nella Tenuta San Guido, che avevano spinto molti operatori nell’ambito del vino a indagare come mai vitigni considerati stranieri, non appartenenti alle nostre terre, funzionassero invece così bene nelle nostre terre.

Così, attraverso gli antichi testi di Plinio il Vecchio e Seneca riuscirono a ritrovare le descrizioni delle piante che erano state portate dai romani nella Gallia, ed individuarono i 5-6 ceppi classici – tra cui il Cabernet Franc, il Cabernet Sauvignon e il Merlot – dimostrando in tal modo che ciò che avrebbe dovuto essere “foresto” non lo era affatto.

Anche grazie al fondamentale apporto dell’Università di Agricoltura di Pisa che s’impegnò nello studio dei nuovi vitigni legittimandone la piantumazione nell’area come “sperimentali” – poco più in là, ad, esempio, Isole e Olena già coltivava il Cabernet dagli anni ’60 – i Falchini divennero parte di quella corrente di rinnovamento del vino italiano che sviluppò i Supertuscan, tanto che nell’83 nacque il Paretaio, nell’85 il Campora, tutti blend che nel ’93 furono ufficialmente riconosciuti come IGT Toscana.

Da vernaccia a spumante

Un po’ prima, nel ’79, Tachis aveva detto a Riccardo Falchini: «Questa vernaccia ha una bella acidità, perché non ci facciamo lo spumante?». Riccardo Falchini, che si era sempre fidato del “dottore”, assentì. Così un operaio delle Cantine Antinori andò da San Casciano a San Gimignano a insegnare ai lavoranti del casale come spumantizzare, furono acquistate le macchine adatte, e nel ’79 nacquero le loro prime bottiglie con le bollicine. Era l’unico spumante di vernaccia mai fatto e tuttora rimane l’unico metodo classico spumante-vernaccia. Tutte le altre aziende lo fanno dallo Chardonnay

L’attualità

L’azienda Agricola Casale Falchini, dai 22h iniziali al momento dell’acquisto, attualmente si estende per circa 35h vitati già in produzione. Ce ne sono poi altri 4 già piantumati che vi entreranno presto, con un potenziale a tutto regime di circa 40h, il quale include anche la proprietà La Colombaia (18h con olivi) che dista circa 3 km dal casale, e La Savonaia, un pezzo di terra adiacente.

Più o meno il 70% delle viti sono state ripiantate e le uve, nella loro totalità, comprendono: Vernaccia di San Gimignano, Sangiovese, Merlot, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Trebbiano, Malvasia, oltre a piccolissime quantità di Canaiolo e Malvasia Nera.

Interessante è osservare la struttura massiccia e l’inconsueta altezza del cordone speronato delle piante che hanno quasi 50 anni di vita, un tipo di allevamento che serviva, tra l’altro, ad evitare che animali come i caprioli si cibassero dei molti grappoli che vi crescevano sopra (all’epoca, in Italia, non era ancora penetrato il concetto di “pochi grappoli = migliore qualità”).

La produzione media annua può raggiungere le 300.000 bottiglie ed è divisa in un 65% di vernaccia , bianco e spumante – Vernaccia di San Gimignano DOCG Benozzo Gozzoli; Vernaccia di San Gimignano DOCG Vigna a Solatìo; Vernaccia di San Gimignano DOCG Titolato Castel Selva; Vernaccia di San Gimignano DOCG Ab Vinéa Doni; Vernaccia di San Gimignano DOCG Vigna a Solatìo Riserva; Bianco Toscano IGT Selva d’Oro; Spumante Metodo Classico Millesimato Falchini Brut – e un 35% di rosso – Rosso Toscano IGT Mora di Selva; Chianti Colli Senesi DOCG Etichetta Storica 1968; Chianti Colli Senesi DOCG Titolato Colombaia; Rosso Toscano IGT Paretaio ; Rosso Toscano IGT Campora – con un piccolo restante 3% di Trebbiano e Malvasia.

E’ bello ascoltare la narrazione della vendemmia, e seguire il processo di diraspatura, di vinificazione, di fermentazione e d’imbottigliamento dei vini e dello spumante – 49° impianto d’imbottigliamento della provincia di Siena – mentre attraversiamo le cantine e le barricaie accompagnati dalle parole di Michael e Christopher che hanno senza dubbio ereditato dal padre la passione per un lavoro duro, di sacrifico, ma anche autenticamente nobile, una perenne sfida con la natura che si rinnova ogni anno, ogni stagione, per tentare di raggiungere quell’eccellenza a cui ambisce ogni viticoltore di qualità.

Noi gli facciamo le nostre migliori congratulazioni per i loro prodotti davvero eccellenti che hanno ottenuto alti riconoscimenti in tutto il mondo, e aggiungiamo anche i nostri più sentiti “in bocca al lupo” per un futuro oltremodo ricco di soddisfazioni.

 

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